Chi siamo

La Confraternita del SS. Rosario del Trivione fu fondata il 25 novembre del 1590 presso l’attuale parrocchia di San Giovanni Battista, già chiesa di San Sebastiano, nella quale disponeva di una piccola cappella e di una nicchia. In seguito, per esigenze di maggiore raccoglimento dei confratelli, trasferì la sua sede presso l’attuale oratorio. Il 30 settembre 1761 da Ferdinando IV, re delle due Sicilie, ottenne l’approvazione dello Statuto. Nel 1884 fu innalzata al grado di Arciconfraternita dal vescovo Mons. Vincenzo Sarnelli. L’oratorio, costituito da un unico ambiente rettangolare, è caratterizzato dal coro ligneo della seconda metà del ’700,che ne occupa, con le relative boiserie, i tre lati maggiori. L‘opera, di notevole interesse artistico e tecnico eseguita da esperti artigiani su disegno dell’architetto che progettò la cappella, costituisce un tutto unico con la decorazione settecentesca: l’alta copertura che riveste le pareti porta, infatti, a compimento e continuala decorazione architettonica con stucchi dorati e finti marmi. I lunghi banchi sono di tre ordini di posto e il dossale dei posti superiori copre anche i lati minori dell’aula. Su una delle pareti minori, tra due porte, vi è l’altare maggiore, realizzato con marmi policromie sculture: appartiene allo stile di transizione rococò-impero, è di pregevole fattura e ricorda l’altarino della sagrestia di San Giacomo Maggiore a Quisisana in Castellammare di Stabia, mentre i putti dei capi altari, databili alla seconda metà del ‘700, in marmo di Carrara, valida opera di scultore di ambiente napoletano non lontano dal mondo artistico di G. Sammartino, richiamano alla mente i due monumentali putti dell‘altare maggiore della Chiesa del Gesù di Castellammare di Stabia. In alto è posta la copia di una tela di Giacinto Diano raffigurante la Madonna del Rosario;  l’originale fu trafugata nel febbraio del 1988. Di fronte all’altare maggiore vi è il banco degli amministratori, in legno di noce, della seconda metà del ’700, che ospitava il priore e sei consiglieri, ai quali, naturalmente, spettava un posto preminente. L‘alto dossale supera la boiserie. Anch’esso è di tre ordini di posto; il sedile del secondo ordine è mobile e contiene il sarcofago e la coltra.

Sul lato destro dell’ambiente, tra il primo e il secondo ordine di posto del coro, insiste un pulpito ligneo realizzato nel 1853 da Ignazio Rispoli, architetto della Congregazione; a sezione rettangolare, poggia su quattro pilastri decorati da paraste scanalate. Nel lato sinistro, sulle scale tra il primo e il secondo ordine di posto del coro, vi è una vetrina progettata dallo stesso Ignazio Rispoli nel 1852 per accogliere la statua della Madonna del Rosario, quando fu trasferita dalla vicina chiesa di San Sebastiano;  per essa nel 1799 fu allestita una nicchia con elegante e ricca cornice in marmi policromi. La vetrina di discreto interesse artistico, insieme al pulpito che si trova difronte, guasta l’armoniosa composizione del coro. Vale la pena, tuttavia, di soffermarsi sulla statua, scolpita in legno policromo nella seconda metà del ’700: la Vergine, Incoronata, in abito bianco con ricami in oro, ha nella destra un rosario e sul palmo della sinistra regge il Bambino. Sulle pareti in alto vi sono tele di Giacinto Diano o della sua scuola, quasi tutte di notevole interesse artistico, e raffigurano rispettivamente, guardando dall‘ingresso da sinistra a destra l’Annunciazione, la Visitazione, la Presentazione di Maria al Tempio, l’Immacolata Concezione, la gloriosa Assunzione, la nascita di Maria Vergine, la Presentazione al Tempio di Gesù e il sogno di Giuseppe.

AI soffitto una tela dipinta nel 1948 da Gustavo Girosi rappresenta la battaglia di Lepanto. Nel deposito della sagrestia, inoltre, si trovano una pedana processionale in legno scolpito e dorato dei decenni centrali del ‘700 e acquistata dalla Congregazione nel 1862; è in stile rococò a tronco di piramide a base quadrata, simile a quelle del Duomo di Stabia e del Corpus Domini di Gragnano; le facce del tronco sono traforate e costituite da foglie, volute, e cartocci di gusto tipicamente settecentesco. Appartengono alla seconda metà del ’700 e si trovano attualmente nel deposito della sagrestia quattro tele, delle quali una di autore ignoto e di mediocre interesse artistico rappresenta la resurrezione di Lazzaro; le rimanenti Gesù e l‘adultera, la cena di Emmaus, Gesù e la Samaritana – sono delle scuola di Francesco De Mura, allievo di Francesco Solimena, che seppe tradurre in immagini, forte della “formula“ classicista del maestro una nuova concezione del mondo, un mondo per dirla con Nicola Spinosa senza eroi, dove i nuovi protagonisti erano gli stessi personaggi del mito antico e moderno del racconto biblico o evangelico, ma con la mentalità e gli stati d’animo dei cavalieri e delle dame della società contemporanea.